giovedì 29 agosto 2013

Audentes Fortuna iuvat

Avete presente quei giorni in cui, per una rara combinazione di eventi, succede qualcosa di assolutamente inaspettato e bello?
È necessario specificare bello perché sono convinta che dando una veloce sfogliata ai ricordi i primi cinque episodi con effetto sorpresa che affiorano sono tutto meno che belli.
È così, ammettiamolo, siamo una generazione di disgraziati soggetti più che mai alle leggi avverse del destino, ripudiati dalla fortuna, esclusi dalla positività retroversa bonus del karma.
C'è da dire che, malgrado le avversità e il solito andare storto del quotidiano, non perdiamo mai la speranza. Si dice che la speranza non sia che il più succulento tra i manicaretti dello spiedo luciferino perché niente può ferire più profondamente di un seme che nasce dal più intimo sussulto del tuo cuore e che tu stesso coltivi con cura e devozione.
Forse è così che si arriva, in un giorno qualunque, a non sperare più niente.
-Così va la vita- ti ripeti ad ogni inciampo.
-Così va la vita- ogni volta che ti calpestano il cuore.
-Così va la vita- un mantra.
Ed è in questi momenti qui, dove la messa a fuoco sta sui punti deboli, sulle parti da risanare, sul lavoro, lo studio, la fatica, in questi momenti in cui a tutto si pensa eccetto che alla propria serenità, ecco è proprio in questi momenti che la fortuna ti piomba addosso.
Violenta come una farfalla.
Per un attimo resti incredulo, le gambe tremano, tocchi con mano la certezza che tutto si sistemerà, che è sempre giusto sperare e credere perché prima o poi la vita paga il conto lasciato in sospeso per tutto questo tempo di sacrifici.
E la famiglia si stringe tutta, e ci si vuole bene, più bene di sempre.
E sogni.
Oh quanto sogni e per la prima volta il domani non ti terrorizza, per la prima volta lo attendi a gloria. E non trattieni le lacrime. E non trattieni il sorriso.
E ringrazi.
Grazie dio.
Grazie vita.
Grazie a tutti.

Stop.
Nero.
Stava scherzando.
Chi? Chi scherzava?
Chi, chi, chi scherzava?
Dio, la vita, tutti, tutti scherzavano.

Lo spegnersi del bagliore negl'occhi di mio padre.
L'allentare piatto del sorriso di mia madre.
Questo è il dispiacere.

Avete presente quei giorni in cui, per una rara combinazione di eventi, succede qualcosa di assolutamente inaspettato e bello?
Noi no e se c'è qualcuno da ringraziare è solo la vita, e per averci dato dritta nei denti, l'ennesima prova della propria durezza.

Noi siamo così.
Siamo una famiglia di disgraziati soggetti più che mai alle leggi avverse del destino, ripudiati dalla fortuna, esclusi dalla positività retroversa bonus del karma.

E nonostante questo ci speriamo sempre.
E ci vogliamo sempre un gran bene.
Forse un po' di più.

mercoledì 14 agosto 2013

Un momento

A volte mi rammarico di non avere una vita abbastanza tragica.
Inciampare nei marciapiedi, sugli scalini, tra i cuori delle persone, col rischio e la paura di pestarli, di pestarsi, è abbastanza? È davvero sufficiente ad accendere l'entusiasmo nella profondità degl'occhi che ho di fronte? A volte penso di no.
Penso di no e mi sdraio sul letto con gli occhi fissi oltre la vasistas.
Sdraiata sul letto, posso vedere le stelle dalla mia finestra.
Anche cadenti.
Anche cadute se mi volto indietro.
Sono una ragazza fortunata.
Non che mi siano mai capitate grandi incredibili coincidenze feconde e nemmeno che il tempismo delle cose della vita mi abbia mai sorriso, ma di partenza, di base, sono grata per quel che c'è, quel che ha passato il convento, quel che sono.
Già questo sento che in fattore empatico comunicativo non è il top.
Non ho un dramma dentro. O dietro.
Sono una ragazza fortunata, per la vasistas.

Una volta qualcuno disse che sono una strana bestiolina che saltella tra superficialità e abisso, sotto una gran massa di capelli.
Non era un complimento, non era un'offesa, era una nota di un'ipotetica pagina di wikipedia o, più realisticamente, di un trafiletto di giornale titolato "Giovane ragazza affoga bevendo a bottiglia"
-Era tanto una cara ragazza- concludeva l'articolo, appena sopra il riquadro pubblicitario di un dentifricio per denti sensibili.

Un'altra volta qualcuno disse che dormire con me era come dormire con una modella di peluches, un peluches a cui piace il sangue.
Questo forse era un complimento.

Un'altra volta ancora, qualcuno, disse che le statistiche affermano che masticare il ghiaccio è indice di predisposizione a sociopatia, psicopatia, bipolarismo, disturbi della personalità, disagio mentale e talvolta anemia.
Questo era un complimento, forse anche un buon motivo per acquistare un dentifricio per denti sensibili.

A volte mi rammarico di non avere una vita abbastanza tragica.
Ho delle sbucciature sulle ginocchia del cuore, qualche segreto e un resto in spiccioli di tristezze di rame ma niente che mi faccia meritare l'applauso commosso della platea della vita, mentre racconto la mia storia sotto un occhio di bue, seduta su di un panchetto da bar in legno e vimini.
Mi piacciono i panchetti da bar in legno e vimini, ne ho uno in casa su cui mi piace sedermi a suonare male la chitarra, canticchiando un francese a tratti storpiato.
Mi piacciono i panchetti da bar in legno anche se il vimini mi lascia lo stampo dell'intreccio sulle cosce e i glutei.
È sufficiente questo ad accendere l'entusiasmo nella profondità degl'occhi che ho di fronte?
A volte penso di no e mentre penso di no suono un giro blues, sprofondando nei cuscini del divano col culo indolenzito dal vimini. È un pezzo di Muddy Waters ma il testo è una variabile di mio pugno.
Come dopo l'amplesso mi accendo una sigaretta tenendola ferma coi denti e aspirando il minimo sindacale, solo così mi riesce, e questo è l'inserto 7 con allegato fotografico, della rivista sulle mie stranezze, accanto al conservare le bustine intatte di zucchero di alcuni caffè presi nei bar, testimonianza allegata invece in dvd.

Una volta ricevetti un regalo bellissimo, gratuito ed inatteso come una sorpresa, incredibile come un desiderio di quelli che confidi, semmai, a qualche stella ma piano, mentre stai per addormentarti tra le lenzuola d'agosto. Non era una scatola impacchettata, era un momento.
Forse immortalato in qualche foto chissàdove.

Un' altra volta ricevetti un regalo bellissimo, un regalo da cogliere come un fiore, come una palla al balzo, come un sorriso bello in un viso bello di una persona bella.
E lo lasciai lì, come si fa con gli ombrelli a scuola, col boccaglio sulla spiaggia, con la sciarpa, a volte, sul treno.

Un'altra volta ancora feci un regalo. C'è qualcosa di magico nel fare i regali, pensare a cosa possa rendere felice una persona ed impiegare cura e tempo nel trovarlo. Era un regalo bellissimo, non era una scatola impacchettata ma lo lasciai lì, insieme alla sciarpa, prima di scendere dal treno.

A volte mi rammarico di non avere una vita abbastanza tragica.
Perché alla fine vorrei spezzarti le ginocchia con in dramma che ho passato e vorrei, giuro che vorrei spezzarti il fiato a metà polmone tagliandoti con la più cruda sincerità.
Vorrei che il tuo starmi a sentire ti rendesse languido, molle e uomo.
E mi guardassi nuda come ti sono sempre stata accanto e mi vedessi bella da morire e ti vedessi perso senza.

Ma i segreti restano dove sono sempre stati.
A masticare il ghiaccio guardando oltre la vasistas.